ALESSANDRA CARLONI

Artista romana, pittrice e street artist, Alessandra Carloni colpisce per la sua tecnica e per il suo stile unico e riconoscibile, con i suoi dipinti ti proietta in un mondo immaginario, una sorta di terra di mezzo, magica, un’atmosfera permeata di fiaba e poesia.

Mi sento più pittrice che artista, donna sicuramente per la sensibilità sognante che mi rappresenta e per la delicatezza delle cromie pastello che caratterizzano le mie opere sia sui muri che sulla tela, ma ciò che mi rappresenta pienamente è la pittura e il mio legame con questo, anche nella vita.

Ho sempre avuto la passione per il disegno, prima che il colore fin dalla piena adolescenza. Ero appassionata di fumetti giapponesi della mia generazione anni ‘90/2000, li divoravo e sicuramente questa componente nipponica è rimasta inconsciamente nelle fisionomie dei miei personaggi iconici. La scoperta della pittura è arrivata in seguito con lo studio al liceo artistico e il salto successivo in Accademia. Non esiste un perché nel mio caso, avvicinarmi all’arte penso sia stato un passaggio naturale, un richiamo che ho accolto con naturalezza, ma consapevole fin dall’ inizio.

Più che un scelta, anche l’approccio alla pittura è stato naturale, ho avuto sicuramente una formazione liceale e accademica, improntata alla pittura, soprattutto di tipo tonale. La varietà infinita di toni e rapporti cromatici, l’ho percepita fin da giovanissima come una forma espressiva che veniva fuori istintivamente, trovando “ la mia tavolozza” fin da subito. Nel tempo anche questa si è evoluta e continua a evolversi in un processo di ricerca continua.

L’ approccio alla Street art In realtà è iniziato nel 2009 con la mia prima esperienza sul muro subito dopo la conclusione dei miei studi accademici e parallelamente alle prime forme di ricerca nella pittura. Da quel momento ho intrapreso questi due percorsi, pittura e arte urbana, come due strade parallele in cui ho investito energie ed esperienze umane per certi versi antitetiche ma complementari ai fini della mia continua ricerca nell’ ambito della “pittura“ in generale.

Le fonti creative sono tante, siamo anche una società che fagocita milioni di immagini al secondo, la rapidità con cui attraverso i social veniamo rapiti e distratti continuamente dal propinarci d’immagini a tratti è straniante, e questo può condurci anche a una svalutazione dell’immagine e del suo significato, fino alla banalizzazione e all’emulazione di ciò che è più “like” per intenderci e meno concettualmente profondo. Io assorbo, come tutti quelli che vivono questo tempo anche da questo mondo, ma cerco di farlo con i miei occhi e mi piace perdermi anche in altro, guardo molto alla figurazione contemporanea, ma anche all’eredità degli storicizzati, e ancora e tanto dal mondo illustrativo, amo molto la poesia di Mattotti, le atmosfere di Shoun Tan e Rebecca Dautremer nell’illustrazione, la materia di Alfio Giurato nella pittura e Aryz, Pixel Pancho, Dulk, Etam Cru, Void per quanto riguarda L’arte urbana.

Il mio stile? Lo definirei un viaggio continuo nel sogno della vita, che è poi forse essa stessa un sogno e quando finisce ci risvegliamo, mi piace pensare che sto raccontando questo passaggio terreno, che è poi il mio, ma diventa di tutti quando prende forma su una tela, ma soprattutto su un muro.

Non ci sono opere a cui sono particolarmente legata, soprattutto se devo sceglierne una su molte. Ogni opera su tela, ogni muro è un racconto del proprio tempo, la tela è una testimonianza più intima di quel periodo che stavi o stai attraversando, il muro è un ricordo pieno a 360 gradi dell’ esperienza “territoriale“ prima che del muro. Possono esserci ricordi belli o brutti associati, ma a tutti gli effetti sono un racconto di un vissuto, ecco perché ognuno ha un valore specifico.

In questo periodo, per quanto riguarda la pittura, ho iniziato a lavorare su un nuovo ciclo di lavori, intitolato “Maschere Urbane”, in cui inserisco all’ interno di città pandemiche e desolate i miei personaggi spesso giganti rispetto ai palazzi, quasi sempre mascherati, per ironizzare sul concetto di “mascherina”, diventata oramai un accessorio presente nella nostra quotidianità, come un paio di scarpe per camminare. Alla maschera, metafora di distanziamento sociale e paura del contagio, contrasto con queste visioni di città surreali, dov’è tutto possibile e il personaggio indossando la sua maschera buffa, vince e contrasta queste paure.
Sempre in questa serie di opere ho aperto anche uno spazio dedicato ad alcune città italiane, dove i personaggi indossano maschere di animali legati alla tradizione della città.

I progetti futuri, riguarderanno soprattutto in questo momento, la realizzazione di una serie di interventi murali in Italia che da qui a luglio mi porteranno a spostarmi fra Padova, Trieste, naturalmente Roma, Campania e Marche.
Per quanto riguarda il discorso sulla pittura, mi piacerebbe finalizzare l’ultima produzione pittorica in una mostra e con una pubblicazione, e sto pianificando anche questo aspetto, attendendo in ogni caso che la situazione COVID migliori soprattutto per quanto riguarda mostre ed eventi espositivi.

 

– Intervista in esclusiva per Art Open Space. Ogni riproduzione è vietata. –